di Anna Foti
Alle pendici occidentali dell’Etna, nell'attuale città metropolitana di Catania, una cittadina di quasi venti mila abitanti, Bronte, nota per il suo pregiato pistacchio, in epoca risorgimentale al tempo del Regno delle Due Sicilie, fu teatro di una rivolta sanguinosa, poi punita con fucilazioni seguite a processi sommari. Quei fatti ispirarono la novella “Libertà” (da “Novelle Rusticane”) di Giovanni Verga, la raccolta di saggi “La corda pazza” di Leonardo Sciascia e il film, diretto nel 1972 da Florestano Vancini, intitolato proprio “Bronte. Cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato”. Lo stesso Leonardo Sciascia contribuì alla sceneggiatura, dedicata ai Fatti di Bronte e a quei primi ardenti dieci giorni di agosto del 1860.
Bronte fu anche sede del ducato dell’ammiraglio britannico Nelson per il quale ebbe tale ammirazione, da acquisirlo come proprio cognome, il reverendo irlandese Patrick Prunty (o Brunty), padre di tre donne scrittrici, l’unico caso della letteratura mondiale, le sorelle Charlotte, Emily e Anne, tutte morte intorno all’età di trenta anni, tutte e tre autrici di romanzi riconosciuti come eterni capolavori di letteratura inglese e opere intramontabili di narrativa romantica.
Il segno diacritico, detto dieresi, sul grafema ‘e’, finale di parola, consentì di mantenere il suono della stessa vocale come in Italiano dal momento che, invece, nella pronuncia inglese, la stessa vocale sarebbe venuta meno. Ecco che Bronte diventò Brontë e il nome del paese siciliano si legò in modo indissolubile a quello di tre scrittrici e al contributo da loro reso alla grandezza della Letteratura di tutti i tempi.
Dalla storia risorgimentale alla letteratura dell’Inghilterra vittoriana, senza dimenticare la mitologia greca. La leggenda narra infatti che la cittadina etnea sia stata fondata dal ciclope Bronte (dal greco "tuono"), condannato con i fratelli Sterope ("lampo") e Piracmon ("incudine ardente"), a lavorare nelle viscere dell’Etna agli ordini del dio Vulcano per costruire armi e fulmini.
Bronte è dunque una cittadina in cui storia e mito si mescolano in un affascinante intreccio che attraversa intatto luoghi e secoli, spazio e tempo.
Bronte, il luogo e la storia
Nel 1798, in piena epoca Borbonica, Lord Horatio Nelson era divenuto primo Duca di Bronte per volere di Ferdinando I re di Napoli che così aveva ringraziato l'ammiraglio britannico dell'aiuto prestatogli per sfuggire ai rivoluzionari della Repubblica Partenopea.
La cosiddetta Ducea di Nelson - oggi chiamata Castello di Nelson o Abbazia di Santa Maria di Maniace - rappresentava con altre proprietà terriere, anche al tempo dei Fatti di Bronte, la nobiltà latifondista contro cui insorsero le classi contadine sfruttate, vessate e ridotte in miseria, nella seconda metà dell’Ottocento.
Forte del fermento alimentato dalla speranza di riscatto dalla fatica e dalla povertà, dagli stenti e dalle prevaricazioni che attraversò anche la Sicilia borbonica, al momento dello sbarco di Giuseppe Garibaldi a Marsala nel maggio del 1860, il popolo si ribellò. L’insurrezione ebbe luogo nell'agosto successivo e furono commessi dei crimini poi puniti in modo sommario.
Case vennero saccheggiate, il teatro e l’archivio comunale bruciati. Furono uccise 16 persone e, dopo il proclama del generale genovese Nino Bixio intanto giunto a Bronte, cinque cittadini brontesi (un tempo brontini) furono arrestati e condannati a morte dopo un processo durato un giorno. Furono fucilati il 10 agosto 1860 da un plotone di esecuzione composto dalle Camice rosse. Non fu fatta giustizia, nonostante si trattasse dei Garibaldini attesi con il Tricolore da quello stesso popolo che venne subito duramente perseguito e giudicato. Molti rivoltosi, anche provenienti da paesi limitrofi come Calogero Gasparazzo, si erano già dati alla macchia.
Fu ristabilito l'ordine con la forza in modo da riportare la calma dopo momenti di terrore e paura, per consentire a Garibaldi di procedere la sua ascesa verso la Calabria, per consegnare al nuovo Governo province libere dai tumulti - che invece ormai imperversavano in tutta la Sicilia contadina esasperata e ridotta allo stremo - e per preservare l'amicizia con gli Inglesi, che a Bronte avevano ingenti interessi terrieri e che pure stavano anche aiutando Garibaldi nella sua impresa. Dunque la risposta dei Garibaldini a Bronte fu esemplare per sedare gli animi e scoraggiare analoghe ribellioni violente nelle altre province siciliane e non solo.
Molte ricostruzioni successive misero in seria ombra l’operato delle truppe garibaldine invocando l’innocenza di coloro che erano stati uccisi in forza della sentenza di condanna per guerra civile, strage, omicidio, devastazione, incendio, saccheggio e detenzione illegale di arma, poi eseguita con la morte. Di innocenza si sarebbe dovuto parlare per l’avvocato Nicolò Lombardo, acclamato sindaco dopo la rivolta e solo per questo ritenuto complice di quei crimini, frutto di ritorsioni dopo anni di angherie e fame e rispetto ai quali egli stesso aveva tentato invano di spegnere gli animi e di far desistere i rivoltosi. Di non punibilità si sarebbe dovuto parlare per Nunzio Ciraldo Fraiunco, noto come ‘lo scemo del villaggio’ che Alberto Moravia aveva definito "simbolo vivente dell'irrazionalità della moltitudine" e che certo non avrebbe dovuto neppure essere processato, perché affetto da demenza e dunque incapace di intendere e di volere. Invece furono condannati e insieme a loro furono fucilati dalle truppe Garibaldine anche Nunzio Longi Longhitano, Nunzio Spilateri Nunno e Nunzio Samperi Spiridione di soli 27 anni. Tutti dichiaratisi innocenti.
Unitamente alla pellicola italo-jugoslava di Florestano Vancini - “Bronte. Cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato” - la storia delle lotte contadine al Sud è stata anche al centro delle ricostruzioni dei calabresi Mario La Cava e Francesco Perri. La Cava nel 1974 pubblicò con Einaudi “I Fatti di Casignana”, poi pubblicato nuovamente nel 2019 da Rubbettino, e prima di lui, nel 1925, Francesco Perri aveva pubblicato “I Conquistatori” con Libreria Politica Moderna. Nel 1945 il volume, firmato con lo pseudonimo Paolo Albatrelli, era stato riedito da Garzanti e infine nel 2012 da Laruffa.
Brontë, il nome e le parole
La sonorità di questo nome, Brontë, conduce anche all’altro capo dell’Europa, in Inghilterra, dove vissero nell’Ottocento Vittoriano le tre sorelle Brontë. Una vita breve e opere scritte che attraversano i secoli, romanzi che popolano le biblioteche pubbliche e private, alimentando sogni e sentimenti di lettori e lettrici in tutto il mondo e continuando a rivivere anche attraverso film e trasposizioni teatrali.
Memorabili il lungometraggio in bianco e nero (“La voce nella tempesta”) del 1939, diretto da William Wyler, con Laurence Olivier, Merle Oberon e David Niven, e la miniserie italiana diretta nel 1956 da Mario Landi, co-autore con Leopoldo Trieste (originario di Reggio Calabria) della sceneggiatura, interpretata da Massimo Girotti e Anna Maria Ferrero. Più recentemente, nel 2004, Anita Caprioli e Alessio Boni hanno interpretato la miniserie diretta da Fabrizio Cista. Il romanzo "Wuthering Heights" ("Cime tempestose") è stato celebrato anche dalla cantante inglese Kate Bush nel 1978 con un'omonima canzone, interpretata anche dalla grande Mia Martini, nata a Bagnara Calabra.
Franco Zeffirelli nel 1996 e Cary Fukunaga nel 2011 hanno diretto Charlotte Gainsbourg e William Hurt e Mia Wasikowska e Michael Fassbender in due tra le più celebri trasposizioni sullo schermo di "Jane Eyre", romanzo attenzionato anche alla BBC che ne ha tratto una miniserie nel 2006 con Ruth Wilson e Toby Stephens.
Cinque sorelle, di cui due Mary ed Elizabeth, morte di tubercolosi da bambine, ed un fratello Branwell, artista e poeta dalla personalità fragile, afflitto da tossicodipendenza e alcolismo, autore del romanzo incompiuto chiamato "And the Weary are at Rest" ("E gli stanchi sono a riposo"). Un talento sul quale la critica non è mai stata molto decisa. Eppure, secondo alcune voci mai confermate che si rincorsero subito dopo la pubblicazione di "Cime Tempestose", tale romanzo sarebbe stato scritto da lui piuttosto che da Emily, che troppo timida e dimessa appariva rispetto a quell'amore estremo, tumultuoso, tormentato e al limite dell'ossessione, immaginato e narrato. Un altro tentativo di sminuire il lavoro e le capacità femminili. E' appena il caso di ricordare che
le tre sorelle dovettero firmarsi con gli pseudonimi Currer, Ellis ed Acton Bell, in un mondo in cui anche la scrittura ancora restava una prerogativa maschile, per poter pubblicare e avere la possibilità di essere lette da critici e pubblico, che si sarebbero certamente fatti inibire e condizionare dai nomi femminili.
La madre, Maria Branwell (1783 - 1821), morì giovane, lasciando i figli orfani da piccoli. A lei ha dedicato un saggio dal titolo "La madre di Jane Eyre" (Neapolis Alma edizioni 2013) Maddalena De Leo, referente in Italia della Brontë Society. I figli crebbero, infatti, con il padre, il reverendo Patrick Prunty (o Brunty) che, si dice, mutò in Brontë il cognome in onore del duca di Bronte in Sicilia, l’ammiraglio Nelson.
Nate nel villaggio di Thornton, nello Yorkshire in Inghilterra, rispettivamente nel 1816, nel 1818 e nel 1820, per Charlotte, Emily ed Anne la scrittura fu un arcobaleno sul grigiore delle giornate, una luce oltre le nubi ed uno scrigno di sentimenti e sogni raccolti in epoca vittoriana e consegnati all’umanità di ogni tempo con uno stile prezioso ed irripetibile.
“Wuthering Heights” (“Cime tempestose”) la storia della passione logorante e del
tormento tra Heathcliff e Catherine con i quali Emily Brontë (1818 – 1848), in questo suo unico romanzo, condivide tutta la sua solitudine (pubblicato la prima volta nel 1847 con lo pseudonimo di Ellis Bell e poi rieditato postumo nel 1850 dalla sorella Charlotte),
“Jane Eyre” (1847), il romanzo autobiografico di Charlotte Brontë (1816 – 1855) - anche questo pubblicato nella sua prima edizione sotto pseudonimo di Currer e subito un grande successo - scandito dal dolore del rifiuto, dell'umiliazione e del distacco e dal tormento dei sentimenti. Charlotte avrebbe poi pubblicato anche “Shirley” (1849), “Villette” (1953) e “The professor” (1957), scritto prima di “Jane Eyre”, ma all’epoca rifiutato da tutti gli editori.
“Agnes Grey” (1847), l’affresco di un amore tra ceti sociali diversi firmato da Anne Brontë (1820 – 1849) che l’anno dopo diede in stampa Il romanzo autobiografico, molto più intenso, “The tenant of Wildfell Hall”.
Porta la firma del trio di scrittrici la raccolta di poesie pubblicata nel 1847.
Nel 1893 in Inghilterra nasce la più antica società letteraria della storia denominata proprio “Brontë Society”. Un tributo concreto alla conoscenza della loro vita ed alla salvaguardia delle loro opere.
Parole leggiadre per dare ali al pensiero, per espugnare le tenebre del cuore, per squarciare le ombre dell’anima, per esplorare interminati spazi, per sradicare il dolore dall’amore ed un attimo dopo riporre il seme del tormento. “(…) Arma il mio braccio la passione ardente/il suo ardore è corazza alla mia vita/finchè soggiace a quel tremendo incanto/la forza umana e cede al folle assalto/come pianta dal vento ormai sfinita (…)[Passion’s strenght shoud nerve my arm/its ardour stir my life/till human force to the dread charm/should yield and sink in wild alarm/like trees to tempest-strife] ” da “Passion” (“Passione”) di Charlotte Brontë.
“(…)Se il mio amore dovrà sempre soffrire/ a causa mia così ferocemente/ le mie lacrime tornino a fluire/ ed il mio cuore si spezzi, finalmente” [O! if my love must soffer so/and wholly for my sake/what marvel that my tears should flow/or that my heart shoud break”] da "Mirth and Mourning” ("Gioia e dolore") di Anne Brontë.
Una vocazione, quella della scrittura per le tre sorelle Brontë, essenziale alla vita come la libertà. Scrivere per scrivere della vita, essere per scrivere e scrivere per essere piuttosto che per morire. Ed in questo intreccio indissolubile Emily, autrice di uno dei romanzi di amore più celebri di sempre “Cime tempestose”, racconta di inferno e di amore al contempo. “(…) Quale prezioso segreto rivelano quei monti?/Gloria e dolore più che io possa dire: terra che desta un solo cuore al sentimento/può accentrare a sé Cielo e Inferno” [What have those lonely mountains worth revealing?/More glory and more grief than i can tell/the earth that wakes one human heart to feeling/ can centre both the worlds of Heaven and Hell], da “Often rebuked, yet always back returning” (“Respinta spesso, pure tornando”).
Passioni e sentimenti che i loro romanzi romantici hanno reso di imperitura memoria a dispetto di giovani fragili corpi, consumati dalla malattia, e del poco, ma sufficiente, tempo di tre vite, seppure brevi, per narrarli e, attraverso la scrittura, proiettarli nell’universo in eterno.
Suffragio e letteratura Universale, donne e scrittrici in marcia per una società più libera
Non sorprenderà scoprire che anche Emily Brontë, unitamente alla sorella Charlotte e Jane Austen, a Maria Edgeworth e a Fanny Burney, attraverso i romanzi e le donne e gli uomini protagonisti delle storie, marciò al fianco delle altre donne per il riconoscimento del Suffragio Universale. Se quello fosse stato il loro tempo, tutte loro lo avrebbero fatto di persona.
Invece la presenza è stata affidata a stendardi colorati nati dalle mani e dalla passione civile delle donne riunite, su impulso dell’artista britannica Mary Lowndes, nell’associazione Artists’ Suffrage League (ASL), la Lega delle artiste per il Suffragio Universale che realizzava anche vessilli e decorazioni per abiti. I loro nomi su questi stendardi hanno camminato sulle gambe delle scrittrici, componenti del gruppo considerato tra i più attivi, e accanto alle ali dell’Aquila, simbolo della Women Writers’ Suffrage League.
Donne di tutte le professioni avevano formato, infatti, dei gruppi per dare voce a questa battaglia di civiltà all’interno della National Union of Women’s Suffrage Societies (NUWSS), fondata nel 1897 per sostenere la causa del Suffragio Universale nel Regno Unito. Un movimento pacifico aperto anche alla partecipazione degli uomini.
In marcia, nelle fila della Women Writers’ Suffrage League, dunque, da quel 13 giugno del 1908, anche le scrittrici, tutte, pure quelle non più in vita ma che, se lo fossero state, sarebbero state presenti. L’ostinazione appassionata di Elizabeth Bennet, la dolce tempra morale di Jane Eyre, la tenacia dei sentimenti di Catherine Earnshow, nate dalla penna di Jane Austen, di Charlotte e di Emily Brontë, non sono segnarono la letteratura universale ma contribuirono ad ispirare battaglie importanti per la costruzione di una comunità più equa e libera.
Non furono - e ancora oggi non sono - solo personaggi letterari femminili, ma donne che nel loro tempo sfidarono convenzioni e pregiudizi per affermare il loro diritto a determinare il loro destino, come le scrittrici che dando loro vita contribuirono all’emancipazione femminile, di cui anche il suffragio universale è espressione fondante, e ad una visione del mondo e della società più giusta e inclusiva.
Le stesse vite delle scrittrici incarnarono l’impegno per la Libertà delle donne da atavici retaggi patriarcali e il coraggio delle scelte di vivere della propria penna e di prediligere l’anonimato (Jane Austen si firmava By a Lady e Charlotte ed Emily Brontë si firmavano appunto rispettivamente Currer ed Ellis Bell), quale forma assoluta di libertà di espressione in un mondo estremamente maschilista e incapace di riconoscere alla donna e alla scrittura dignità umana, sociale e professionale.