di Natale Pace
119 anni fa, come oggi, nasceva il filosofo palmese Domenico Antonio Cardone. Ho avuto il privilegio di frequentarlo nella sua casa di Palmi, in via Cesare Battisti, negli ultimi anni della sua vita, in certi pomeriggi di arricchimento (per me) umano, poetico, filosofico. Parlavamo molto di poesia, io leggevo le sue di "Ritmi Astrali" e "Ritmi del Silenzio", lui leggeva le mie, prime, giovanili. Conservo gelosamente una lettera dattiloscritta con inchiostro rosso (con la macchina da scrivere) nella quale elogia le mie composizioni giovanili del primo libro "La terra ed altre canzoni" e del secondo "Il seme sotto la neve". Voglio ricordarlo con quella che probabilmente è l'ultima intervista che egli ha rilasciato e da me pubblicata in diverse occasioni su alter riviste con il suo consenso.
Buon compleanno in cielo, avvocato!
21 gennaio 2021
INTERVISTA A DOMENICO ANTONIO CARDONE
Ciò che mi colpisce ogni qualvolta mi reco a trovare Cardone nella sua casa di via Cesare Battisti è il silenzio, Lo scatto metallico dell'apri portone diventa il segnale magico per l'accesso ad un mondo ovattato, vellutato, fatto solo di odor di pulito, di buoni pensieri. Saliti i pochi gradini che portano al primo piano, viene ad accogliermi personalmente in veste da camera, come fa spesso con me, come. si usa con amici a cui non si debbano i soliti, antipatici obblighi della formalità. Anche la personcina minuta, la gentile stretta di mano quella sua pacatezza nel dare il benvenuto, non fanno che rafforzare l'iniziale impressione di silenzio, di quiete. Per non dire che essendo la casa una costruzione non recente, con muri esterni grossi molto più che i muretti moderni in mattoni forati, una volta dentro spariscono diabolicamente i rumori esterni e si riesce a percepirlo il silenzio, ad ascoltarlo quasi anche nel respirare quieto, nell'attesa di cominciare la chiacchierata e quasi dispiace anche parlare, sembrando di commettere peccato.
Domenico Antonio Cardone è nato a Palmi (RC) il 21 gennaio 1902. Laureato in giurisprudenza, a ventun'anni, costituì il "Fondaco di Cultura" che ebbe anche una sua Rivista, entrambi però di breve durata. Nel 1930 iniziò la collaborazione alla "Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto" e nel 1931 fondò con Antonino Lovecchio, altro filosofo palmese la rivista "Ricerche Filosofiche" che diresse fino al 1967. Nel 1948 fondò la Società Filosofica Calabrese che, nello stesso anno, partecipò alla fondazione della Féderation lnternational des Societés de Philosophie. Nel 1949 venne accolto nel Royal lnstitute of Philosophie di Londra e nel 1967 nella Internationale Vereinigung fur Rechts-und Sozialphilosophie di Wiesbaden. Nel 1958 fu tra gli organizzatori a Venezia del XII Congresso Internazionale di Filosofia. In tale occasione si fece promotore di una intesa etica tra i filosofi di tutto il mondo e di tutte le tendenze, volta ad influire sui vari problemi nazionali ed internazionali, il che determinò la proposta del suo nome per il conferimento del Premio Nobel per la Pace nel 1963, assegnato poi alla Croce Rossa Internazionale.
Tranne che nella prima giovinezza, non fu mai iscritto ad alcun partito politico. Inutile qui soffermarci sulle innumerevoli pubblicazioni del filosofo palmese o che lo riguardano; sarebbe un lavoro gravoso e certo non basterebbero gli spazi di questo articolo. Vi rimando a tal proposito ai due volumi di “Bibliografia critica di Domenico Antonio Cardone” pubblicati dalla Società filosofica Calabrese.
In occasione di questo incontro con lui parleremo quasi esclusivamente di poesia e, dunque, voglio ricordare le specifiche pubblicazioni in versi, che, in verità, non sono poi molto numerose.
Diciamo subito che Cardone, contrariamente a quanto si possa pensare, non si è inventato poeta soltanto negli ultimi anni.
Già al n.2 della citata Bibliografia Critica figura “Nuvole” lirica pubblicata nel 1922 sulle riviste “Ebe” e “Il Faro” e inserita nello stesso anno nella prima raccolta “Frammenti di Giovinezza” [1]. Nuvole fu allora definita da Leonida Repaci: “un esempio notevolissimo di impressionismo acuto”.
Per avere comunque una idea della poetica matura del Cardone occorre qui compiere un lungo salto indietro nel tempo. E’ infatti del 1970 la pubblicazione di “Ritmi del Silenzio” (Editrice La Nuova Europa, Firenze) e l’anno successivo “Ritmi Astrali” (Gesualdi ed. Roma). A questa segue “Canti d’Amore Diverso” (ed. Cimento 1972, nella collana Poeti di Oggi; nel 1978 un bel volume “Poesie scelte” (Gabrieli ed. Roma) e per finire “L’Assenza e la Mancanza” (Ed. Mit Cosenza).
A proposito di quest’ultima raccolta ebbe a scrivere con squisita delicatezza Antonio Altomonte: “Siamo perciò a una poesia ch’è un continuo flirt con la metafisica, un assiduo rimando dagli assilli del quotidiano ai grandi interrogativi di sempre, dal particolare privato alla vicenda di un tempo come il nostro in cui la bellezza è un fantasma e l’orizzonte si popola di mostri. La poesia che nasce come meditazione e si risolve in urlo” [2].
E veniamo dunque all’intervista esclusiva rilasciata da Domenico Antonio Cardone dopo lunga riluttanza e solo in dono per la nostra bellissima amicizia, chè il nostro ormai, siamo nel 1980, aborriva ogni uscita pubblica e si rifiutava categoricamente di aderire a inviti per manifestazioni ufficiali:
Avv. Cardone, lei ebbe a ricordare che “il filosofo soffre di non essere artista e cerca, quando può, di esserlo” e ancora faceva sua la filosofia di Renan secondo cui l’arte continua il pensiero nell’istante in cui la pura logica non è più in grado di manifestarlo. Tutto ciò vuole forse essere il riconoscimento di una maggiore vastità e di più ampie possibilità di analisi, e quindi di utilizzazione sociale, della poesia, per esempio, rispetto alla dottrina filosofica?
Non si tratta di vastità e di più ampia possibilità di analisi, ma di un modo diverso di esprimere, con la vivente figurazione dell’arte, ciò che si è pensato logicamente; non solo ma anche di manifestare il sentimento con cui lo si è pensato. Naturalmente per questa più immediata, sintetica direi, espressivamente vivente estrinsecazione del pensiero, può determinarsi quella “utilizzazione sociale” della poesia di cui lei dice, sebbene il mondo oggi sembra tetragono ad ogni tipo di sollecitazione per un mutamento vitale. Se poi la ricerca linguistica da me fatta – sull’esempio del grande D’Annunzio – abbia agevolato o meno l’intenzionale “utilizzazione sociale” è altra questione, ma io penso non possa essere escluso che lo stimolo per la apertura di orizzonte del nostro vocabolario giovi anche alla migliore, più precisa, comunicazione umana.
E tuttavia Giuseppe Logroscimo accusa la sua poesia di pesantezza da “astrazioni filosofiche, residui farinosi non ancora domati” [3].
Il Logroscimo è solo o con qualche altro, mi pare, a ritenere che il mio pensiero filosofico non si sia decantato completamente nella poesia (quando questa nasce da una meditazione filosofica, chè gran parte della mia poesia non è un riflesso filosofico). La maggior parte dei miei critici, anzi, ha proprio rilevato l’opposto, ascrivendolo a merito del mio magistero artistico. Comunque io stesso ho avuto occasione di riconoscere che non sempre sono riuscito a fare del mio pensiero poesia. E ciò è accaduto – si parva licet componere magnisi – anche a poeti unanimemente riconosciuti grandissimi.
Uno tra i più assidui studiosi cardoniani, almeno per la sua parte poetica, Franco Trifuoggi, fa un preciso richiamo alla poesia di Lorenzo Calogero [4]. Lei oggi, avv. Cardone, nel 1980, si barrica in casa e rifiuta qualsiasi pubblicazione, limitandosi a registrare su un diario top-secret i frutti del suo pensiero [5]. Vuole chiarire se ritiene che ormai il mondo può fare a meno di Cardone, se è Cardone che pessimisticamente rinuncia al mondo o se, effettivamente, Trifuoggi è stato buon profeta nel senso che Cardone, seguendo l’esempio di Calogero, rende la sua poesia e la sua filosofia irreperibili?
Il mondo ha sempre fatto a meno di me, anche quando io mi sono illuso di potergli giovare con la mia attività e le mie iniziative (parlo naturalmente del mondo extra famigliare ed extra professionale). Ora sono giunto al punto morto della scomparsa di ogni illusione. Non rinuncio al mondo, tanto che lascio circolare i miei libri… per forza d’inerzia, rispondo a Lei… e registro nel mio Diario intimo i pensieri suscitati in me dagli eventi del mondo, ma non ritengo valga la pena essere più un produttore di pensieri e canti stampati.
Io ho creduto di rinvenire tra i suoi versi almeno tre motivi poetici predominanti: ansia cosmica, visione panica (o, come dice Trifuoggi, panpsichica) e ricerca formale. Posto che lei concordi sulla esistenza dei tre motivi. vuole dirci se e come ritiene che essi vadano inseriti nel moderno. In pratica quanto ognuno di essi può scavare nel futuro per una migliore convivenza delle genti?
Che i tre motivi da lei indicati esistano non c’è dubbio. Se e come sono “inseriti nel moderno” – come lei dice – credo risulti dalla Prefazione ai miei “Ritmi Astrali”, intitolata “Avanguardia si e no” e sarebbe lungo riportarla adesso. Che poi ognuno di essi possa per suo conto “scavare nel futuro per una migliore convivenza delle genti” – come lei dice – è una conseguenza di tutta l’impostazione dell’interpretazione di detti motivi. La consistenza di tali motivi – per altro – può riscontrarsi in molti poeti ed artisti e mi piace ricordare, tra essi, il Pascoli.
Una curiosità: a quanto mi risulta, lei ha fatto uso di pseudonimi varie volte, ma sempre trattandosi di suoi scritti di letteratura. Per esempio nel 1926 si firmava Ustor, pubblicando sulla rivista “U Chiaccu” una raccolta di poesie che già intitolava “Ritmi del Silenzio”. Poi sulla rivista “Nosside” si chiamò Lelio Biante e si trattava di novelle. Per non parlare di Donecar anagrammatico delle “Memorie di un ominide 900”. E’ forse per separare la sua attività di letterato da quella di filosofo?
L’uso di pseudonimi non è stato determinato da una volontà di separare la mia attività letteraria da quella filosofica, anche perché, all’epoca degli scritti giovanili da lei ricordati, ancora non avevo una spiccata attività filosofica. Forse si è trattato allora di una specie di “timidezza”, non ricordo bene. Quanto al Donecar delle “Memorie di un ominide 900” le ragioni stanno nella Prefazione al libro dove esalto più che il valore dell’autore, quello di coloro che, accogliendo il messaggio dei contenuti delle sue opere, diventano essi i veri Autori. Qualche volta ho preferito scrivere senza firma per le stesse ragioni.
L’ultima brevissima, Avv. Cardone: che futuro vede per la poesia e soprattutto che futuro vede per l’uomo?
Un futuro per la poesia? Diventa sempre più un canto nostalgico di miti sognati. Un futuro per l’uomo? L’annientamento cosmico o la salvezza in extremis, per l’improvvisa consapevolezza (finalmente!) della solidarietà universale: ma ciò vorrebbe dire una nuova era di miracoli.
Qui termina l’incontro co Domenico Antonio Cardone.
Altre visite, altri incontri certamente avrò col Filosofo buono di Palmi, finchè la gentilezza e la salute gli permetteranno di vedermi e lasciarsi torturare dai mei versi d’inventato poeta che gli piacciono tanto.
Oggi mi preoccupa averlo trovato un po’ più nero del solito, un po’ meno interessato alle cose del mondo, come se ormai sentisse non doverlo questo più riguardare.
Uscendo per strada, comunque, ho chiuso con delicatezza il portone.
INUTILE RICERCA
Spuntarono un giorno sulla terra
audaci violatori di misteri
la luce di piccole lanterne
sconvolse l’oscuro del mondo.
Oggi potenti riflettori
scoprono impotenti
soltanto
geroglifici indecifrabili
nel groviglioso disordine
di pretesti e di brame
nei silenzi assordati
da nuovi misteri elettronini.
Si balocca
la stirpe diogenica
con le proprie parole
“libertà socialità valore
Rinnovamento amore”.
L’uomo
dovè l’uomo
ancora ancora ancora
e invano
ricerca svagata per vie congeste
di ingenui
mascherati da mostri
di mostri
mascherati da santi.
(da L’Assenza e la Mancanza – ed. MIT Cosenza 1979)
VORREI INVENTARE UN MONDO
Vorrei inventare un mondo
senza malvagità
Le nuvole
palloncini di bimbi spensierati
I governanti
bocciofili in gare di bevute
I tribunali
teatri per commedie
Stadi invece di ospedali
Chiese per osanna
invece di preghiere
La morte
un dolce commiato
per un viaggio felice
(da Canti d’amor diverso – nella collana “Poeti d’oggi” a cura della Presidenza Consiglio dei Ministri)
[1] “Frammenti di Giovinezza” Signoretta editore – Palmi 1922
[2] Antonio Altomonte – “Se il poeta è filosofo” – Il Tempo 1.2.1980
[3] Calabria Cultura, rivista trimestrale, anno I, n.1-2 (gennaio-giugno 1974) pag. 110 e segg.
[4] La poesia di D.A. Cardone – su Luce Serafica n. 4-5-6, 1972
[5] Quel diario è stato reso pubblico in un volume a cura della figlia Elsa: “Diario Intimo” e pubblicato dalla Rubettino ed. di Soveria Mannelli: nel 2018 con prefazione di Franco Trifuoggi. Fu presentato in una bella manifestazione organizzata dal Club Unesco di Palmi. In quella occasione è stata ufficializzata l’intestazione del Club al filosofo palmese.