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di Renè Corona

Giorgos Seferis si chiedeva: ”Perché scriviamo dei versi?” e rispondeva  a se stesso sulla pagina del suo Diario “Sebbene siano cose segrete (per colui che le scrive) le crediamo più importanti di qualsiasi cosa. Questa necessità vitale.” (24 ottobre 1946)

Poi in un’altra pagina continua: “Ho finito di scrivere la poesia […] non so se è una bella poesia, so solo che è finita. Adesso la devo lasciare asciugare.” (31 ottobre 1946).

Aggiungerei: Una volta nella metropolitana di Parigi , prima di arrivare al binario, c’era un portillon, una porta di ferro (è strano il diminutivo, in realtà era proprio un portone pesante) che, un po’ prima dell’arrivo del convoglio, si chiudeva lentamente e quindi la gente cercava fino all’ultimo di intrufolarsi per non perdere il metrò.

Ecco “necessità” e stendere per far asciugare” e “portillon”.

Ancor prima di asciugarsi dall’inchiostro (inchiostro come lacrime?) le parole vogliono salire nel vagone e quindi spingono, spingono per tentare di starci dentro.

Ma anche l’altra immagine è interessante: il poeta come una lavandaia toglie il sovrappiù (e non è facile, le esclusioni sono tante, tagliare è un po’ come partire o come morire e scegliere è complicatissimo) e poi stende i panni.

Noi ci troviamo ad ogni istante a dover affrontare un quotidiano incerto, tra “L’agilità delle cose”, sempre Seferis (10 novembre 1946) sopra una nave che potrebbe affondare da un momento all’altro persa nel tifone della vita. Ci vogliono degli appigli sicuri, solidi: gli affetti, gli amori, le credenze… a dire il vero, per Marcel Proust potremmo cancellarli perché non sono appigli sicuri, l’unico sostegno, per Proust, è la letteratura, ma noi vogliamo essere meno pessimisti di lui (meno geniali?) e quindi alla nostra lista di appigli aggiungiamo la solitudine (necessaria) affinché la poesia  (indispensabile) sopravvenga maestosa, prima nel cuore, poi nella mente e si formi lentamente sul biancore della pagina.

A questo punto della storia il sospiro di sollievo. Per un attimo hai arrestato il tempo.

Le parole che utilizziamo sono sempre quelle; qualche volta al nostro alfabeto ne aggiungiamo altre nuove per le loro sonorità o perché ci sembra che abbiano una particolare semantica, però, tutto sommato, abbiamo la vaga sensazione che quello che ne verrà fuori non sarà poi così originale.

Tuttavia alla fine un’altra immagine s’insinua nella mente: è come trovare in un libro comprato usato, una frase sottolineata dal primo lettore, frase che noi non troviamo molto consona ai nostri pensieri e che non avremmo mai sottolineato, però il segno della matita c’è e resta. L’intruso (il lettore precedente, - anche se l’intruso potrei essere io, visto che il libro è stato acquistato dal primo lettore -) ha lasciato un segno della sua presenza. Come tutti i poeti e scrittori che ci hanno preceduto.

La poesia che tu hai scritto e che stimi come un qualcosa appena appena diverso si aggiunge irrevocabilmente all’esistente con le stesse parole, magari costruite differentemente. E quindi doppiamente intruso, come un poeta. Aggiungiamo anche questo vocabolo alla nostra lista.

Ma i tuoi passi, (le tue parole affittate), nel tuo profondo cammino li vivrai come passi che lasciano tracce sincere e tue (originali?). Poi sarà il lettore a giudicare sulla loro bontà o bellezza che sia.

marinesca con pirata

per il cuffio della rotta ho rotto la cuffia

e mi sono mantenuto sul filo del rasoio

sono esperienze indimenticabili

come vacanze al mare  con pedalò

e sulla neve con onde di ghiaccio

le parole sono ancore alle quali afferrarsi

per non annegare

qualche volta tavole di legno galleggianti

ma instabili un po’ imputridite

relitti di dizionari vascelli scomparsi

navi fantasma con arcaismi al seguito

altre volte tavola da surf per volteggi

e ghiribizzi acrobatici sulla pagina bianca

qualche volta una bella barca

con rami e ottoni lucidissimi e nuovi

le parole il più delle volte sono zattere

il più delle volte si tratta proprio di una zattera

che ha fatto più battaglie di tutte le marine del mondo

e non si possono mandare indietro

bisogna afferrarle per non affondare del tutto

questa è anche la poesia

Lasciamola asciugare.

(maggio 2022)