di Anna Foti
Le «città perdute» per la prima donna italiana fondatrice e direttrice di un giornale (Il Mattino) Matilde Serao, le «città distrutte» per il giornalista e scrittore Edoardo Scarfoglio, fondatore del Corriere di Roma e cofondatore de Il Mattino, «in un dicembre d'uragani e mare avvelenato» secondo un giovanissimo Salvatore Quasimodo, in «una battaglia quale mai non si raccontò nella storia degli uomini» per il poeta romagnolo Giovanni Pascoli: così furono descritti gli scenari apocalittici delle città di Messina Reggio Calabria dopo il funesto sisma del 1908.
L’eco della sciagura naturale scosse profondamente gli intellettuali del tempo. La parola scritta raggiunse luoghi lontani diffondendo il dramma di un sisma particolarmente spaventoso e innescando una catena di solidarietà che coinvolse persone singole e Stati. Di intensità pari a 7,2 gradi della scala Richter e 11 gradi della scala Mercalli, la scossa, con epicentro nel reggino tra Archi e Ortì Inferiore, generò la più grave catastrofe naturale della storia italiana ed europea per numero di vittime, il cui dato è ancora oggi sospeso tra le 90 mila e le 120 mila. Noto come il terremoto di Messina, per le perdite certamente più numerose ma non per questo più drammatiche di quelle che vi furono anche a Reggio, il sisma colpì con potenza distruttiva, ma con intensità diversa, le due città. Con ogni probabilità si tratta della catastrofe naturale italiana più grave dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. che, narrata da Plinio, distrusse Pompei, Ercolano e Stabia.
Trentasette lunghissimi secondi stravolsero all’alba del 28 dicembre 1908, alle ore 5:20:27, la vita delle comunità calabrese e siciliana dello Stretto. Un'onda di morte e distruzione seguì il tremore della terra, travolgendo violentemente entrambe le sponde sisma, causando anch'essa perdite e danni pure nell'entroterra di entrambe le città..L’alba di un inferno. Pochi attimi per distruggere il litorale calabro e quello siciliano. Migliaia di morti e di case distrutte. Un sisma violento, causa di un disastroso maremoto. Crolli e devastazioni interessarono un'area di oltre 6000 Kmq.
Nel reggino la terra tremò da Palmi a Melito Porto Salvo ed il mare investì la costa da Punta Pezzo fino a Capo D’Armi.
«Un attimo della potenza degli elementi ha flagellato due nobilissime province – nobilissime e care – abbattendo molti secoli di opere e di civiltà. Non è soltanto una sventura della gente italiana; è una sventura della umanità, sicché il grido pietoso scoppiava al di qua e al di là delle Alpi e dei mari, fondendo e confondendo, in una gara di sacrificio e di fratellanza, ogni persona, ogni classe, ogni nazionalità. È la pietà dei vivi che tenta la rivincita dell’umanità sulle violenze della terra», si legge nella relazione del Senato del Regno d'Italia, ancora una monarchia guidata da re Vittorio Emanuele III di Savoia e dalla regina Elena di Montenegro.
I primi soccorsi furono stranieri con l’arrivo della navi russe, tra cui l’incrociatore Aurora*, ai cui marinai, definiti "Eroi di Misericordia e Abnegazione" per avere per primi prestato aiuto tra le macerie alla popolazione sopravvissuta, sono dedicate due steli poste sulla via Giuseppe Garibaldi a Messina e presso la villa comunale Umberto I a Reggio Calabria. Arrivarono anche le navi britanniche e i soccorsi italiani disposti in occasione della riunione urgente del Consiglio dei Ministri, guidato da Giovanni Giolitti. Furono allestiti i baraccamenti per le migliaia di sfollati. Autorevoli tracce vi sono delle ore convulse che seguirono, le azioni concitate in mezzo alle macerie, il dramma intriso di speranza e di attesa della ricostruzione.
La documentazione tratta dal Fondo prefettizio - attestazioni ufficiali dei primi interventi statali di assistenza e ripristino delle opere pubbliche primarie e dell’allestimento, ad opera del personale del Genio Civile, di padiglioni e baraccamenti per postazioni di primo soccorso e per sfollati, la proclamazione dello stato di Assedio, i progetti di restauro e piantine della città, la creazione di ospedali e censimento degli edifici da riedificare, le assegnazioni e le revoche delle baracche, l’erogazione di sussidi, la richiesta di soccorsi, le comunicazioni dei vari comuni della Provincia al Prefetto, gli atti dell'apposita commissione di studio delle norme di edilizia antisismica e di accertamenti sismologici per individuare i terreni su cui edificare nuovamente – è oggi custodita presso l’Archivio di Stato di Reggio Calabria, nella sezione V (ripartita in 219 buste) curata da Maria Pia Mazzitelli, Umberto Alessi, Consolata Amante, Stella Bellantone, Luigia Amante. C’è traccia presso l’Archivio, dunque, dei primi passi verso una ricostruzione, lenta e scandita da polemiche, reclami e ricorsi presentati dai privati che accusavano le autorità di discriminazioni nella distribuzione dei sussidi e nell’assegnazione delle baracche. L’Intendenza Borbonica e la prefettura rappresentarono le maggiori fonti di produzione di documentazione unitamente alle sottoprefetture di Gerace e Palmi. Un viaggio nella memoria ancora dolorosa.
Tante le testimonianze apparse su giornali e pubblicazioni su entrambe le rive dello Stretto, anche postume.
Il Corriere della Sera, il giorno 30 dicembre 1908, titolò: "ORA DI STRAZIO E DI MORTE. Due città d'Italia distrutte. I nostri fratelli uccisi a decine di migliaia a Reggio e Messina". A Napoli, Il Mattino di Edoardo Scarfoglio titolava: "La catastrofe di Messina: la città distrutta, migliaia di vittime", mentre il Giorno con Matilde Serao, che già aveva riservato parole poetiche alla Calabria conosciuta attraverso la Ferdinandea nelle Serre Calabresi** dove fu ospite nel 1886, il 31 dicembre 1908 titolò "Lo spaventoso terremoto in Calabria e tutta la Sicilia": «Ti rivedo, come in un lontano sogno pieno di rimpianto, pieno di rammarico, cara città di Reggio, cara città della Fata Morgana, tutta circondata dal verde lucido dei tuoi aranceti, tutta profumata dall’inebriante odore delle tue zagare. Reggio impregnata di sole biondo, Reggio impregnata di’azzurro nell’aria, nel mare, Reggio onore della Calabria azzurra, Reggio decana della grande marina cantata da tutti i poeti dell’antichità (…) Ah, che io chiudo gli occhi stanchi e smarriti, li chiudo un istante e ti rivedo, innanzi alla mia fantasia Messina, Messina bella, tutta bianca sulle rive del tuo mare, tutta bianca come una città d’Oriente innanzi alle linee ineffabili della sua marina, io ti rivedo Messina Bella, perla preziosissima di Sicilia, nobile Messina, gentile Messina, amata dal navigante, dal commerciante, dal poeta e dal principe, perché eri ospitale, perché eri bella, perché eri linda e lieta, perché tutto in te era grazia e incantesimo, perla di Sicilia, schiacciata e bruciata!».
Giovanni Pascoli, che insegnò Letteratura Latina all'Università di Messina tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, nel gennaio del 1909 all’Università di Bologna, commemorò così le vittime del terremoto e del maremoto che avevano devastato lo Stretto che aveva conosciuto e dal quale si era lasciato ispirare***:«Ormai in quel lido, non altra opera umana si compie che l’ultima; il seppellimento. Non si aggirano tra le rovine se non fossori. E i fossori sono militi, come dopo una battaglia. E fu invero una battaglia quale mai non si raccontò nella storia degli uomini. Una immensa torma di cavalli […] sembrò passare al galoppo, sottoterra, nella fragorosa carica di un minuto. Una bocca di fuoco sparò […] col rombo di cento cannoni in uno, nel cupo silenzio della notte. E il mare si alzò di cinquanta metri, e la terra si abbassò e poi balzò su. E un soffio vastissimo di luce rossa, come un’improvvisa aurora boreale, alitò dal lido opposto; e un astro o più astri si sgretolarono in cielo. Fu una battaglia davvero, ma di Titani, ridesti dal loro sonno millenario in fondo agli abissi, e ritrovatisi in cuore la terribile loro collera primordiale. Ora in quel campo di battaglia, battaglia durata un attimo, dopo quindici giorni si procede all’opera ultima e postuma».
Un bambino di 7 anni, futuro premio Nobel per la letteratura, aveva accompagnato il padre Gaetano per un intervento urgente sulle linee ferroviarie. Quel bambino era Salvatore Quasimodo che, nella poesia "Al Padre", negli anni Cinquanta scrisse: «Dove sull'acque viola era Messina, tra fili spezzati e macerie tu vai lungo binari e scambi col tuo berretto di gallo isolano. Il terremoto ribolle da due giorni, è dicembre d'uragani e mare avvelenato».
"Ricordi d'un dissepolto. La tragedia famigliare di un poeta nel terremoto di Reggio e Messina” (Rubbettino 2008) è il racconto struggente del poeta sidernese Michele Calàuti (1861-1935), curato nella sua pubblicazione postuma da Enzo Romeo, arricchito dai contributi di Benedetto Croce, Antonio Fogazzaro, Grazia Deledda, Giulio Salvadori, Bonaventura Zumbini e altri esponenti della cultura italiana del primo Novecento. All’età di 47 anni, dopo quell’alba funesta, il poeta sopravvisse alla madre e a tre figli. Ripresa in mano la penna scrisse, qualche mese dopo la tragedia e dopo anni di silenzio, un breve e straziante resoconto della propria tragedia familiare, con il titolo "Lacrymae ovvero Ricordi d'un dissepolto". Giunto, all’epoca della stesura, tra le mani dei maggiori uomini di cultura dell'epoca, il racconto ispirò in tutti una parola, un pensiero, una poesia, una dedica. «Chi sa fare qualche cosa del suo dolore, quello solo merita di esser consolato», scrisse al Calàuti Matilde Serao. Tale pubblicazione, unitamente a “Le baracche” di Fortunato Seminara, ha ispirato il lungometraggio del regista Laszlo Barbo, intitolato “Quel che resta”, uscito nel 2012, con l'interpretazione, tra gli altri, del compianto Giacomo Battaglia.
Gaetano Salvemini, docente all’Università di Messina, sopravvisse alla moglie, ai 5 figli e alla sorella, affidando la sua testimonianza alle colonne dell’Avanti: «Ero in letto allorquando senti che tutto barcollava intorno a me e un rumore di sinistro che giungeva dal di fuori. In camicia, come ero, balzai dal letto e con uno slancio fui alla finestra per vedere cosa accadeva: Feci appena in tempo a spalancarla che la casa precipitò come un vortice, si inabissò, e tutto disparve in un nebbione denso, traversata come da rumori di valanga e da urla di gente che precipitando moriva».
Riccardo Vadalà, direttore dell’epoca della Gazzetta di Messina ebbe a scrivere: «Nelle acque del porto galleggiava di tutto: cadaveri, carretti, mobili, carcasse d’animali, travi, botti, bastimenti affondati… tale era l’intensità della scossa e la violenza con cui le pareti venivano smosse e il sottosuolo si agitava, che non solo le pareti si piegavano come fogli di carta, ma io stesso, che quel mattino mi trovavo in redazione, mi senti sbalzare due o tre volte all’altezza di un metro dal pavimento. Uscito da sotto le macerie, tenendomi lungo il muro tentai di camminare per le strade. Il rumore delle case crollanti mi assordava… non vi era che un lungo, lugubre, immenso strillo da tutti i punti della città: Aiuto, Aiuto!».
Il dolore fu condiviso dai maggiori intellettuali del Novecento da Gabriele D’Annunzio ad Alexandrine Emile Zola, da Antonio Fogazzaro allo stesso Luigi Capuana e al premio Nobel per la Letteratura Grazia Deledda (che pure, con Matilde Serao ed Edoardo Scarfoglio, aveva risposto all’appello di solidarietà lanciato da Gabriella Spalletti Rasponi****, presidente del Consiglio Nazionale delle Donne Italiane, all’indomani del terremoto che aveva scosso la Calabria già nel settembre 1905), da Guglielmo Marconi a Hermann Hesse e Claude Debussy. La penna delicata di Grazia Deledda si soffermò su «una donna superstite, una bellissima donna estratta dalle macerie dopo alcuni giorno d’agonia», mentre la moglie di Emile Zola, Alexandrine, inviò una pagina della “Bestia Umana” in cui si narra di «un fuoco sanguinante, popolato confusamente da masse opache, le macchine ed i vagoni solitari, i tronconi dei treni dormienti sui binari morti».
Per caso, quasi un secolo dopo il sisma, il ricercatore siciliano, Gianpiero Chirico, occupandosi dello scrittore Luigi Capuana, si imbatté in una raccolta di pensieri, spartiti musicali, poesie dedicati alla immane tragedia che colpì Reggio e Messina 112 anni fa. Tra i manoscritti dello scrittore e giornalista catanese, presso la Harvard University di Boston, dal passato è emerso un prezioso e inedito diario di 199 testi originali ispirati da un dramma che generò profonde ferite, ad oggi invisibili in apparenza, che si allontanano nel tempo mentre le parole di questi grandi presidiano la memoria delle tante vite spezzate in un’Italia che allora, come spesso accade nel dolore e nella tragedia, si fece Una. Con i caratteri della casa editrice Gbm e con il titolo "Il condiviso dolore. Messaggi degli intellettuali del Novecento per il terremoto di Messina del 1908", nel 2006 Gianpiero Chirico ne selezione e ne pubblica 62, restituendo così al mondo questa toccante pagina di solidarietà e condivisione attorno ad una tragedia di portata storica.
Non solo intellettuali in Italia ma anche oltre le Alpi. Lo scrittore e giornalista francese Jean Carrère, da corrispondente firmò molti articoli sul giornale Le Temps, concorrente de Le Figaro, poi pubblicati nella raccolta edita nel 2008 da Città del sole edizioni con il titolo “Terre Infrante. Calabria e Messina 1907- 1908-1909”. Sempre dalla Francia «Il pensiero che in questo momento non troveremmo altro che orrore e morte, ci causa un profondo dolore», fu dello scrittore Pierre Loti a cui rispose lo scrittore e poeta veneto Antonio Fogazzaro: «O viva fiera è la Terra, che trasal e rugge all' Uomo, come leone mal domo, a chi, frustando lo atterra?». Lo stesso scrittore e giornalista catanese Luigi Capuana descrisse l’amara consolazione dei catanesi: «Videro Catania rimasta miracolosamente in piedi e quasi non prestavano fede ai loro occhi (…) Ci par di sognare, e intanto abbiamo paura di destarci. è orribile!». E ancora da Catania il poeta Mario Rapisardi: «Negli altrui danni il proprio danno oblia. Muoion le forme! L'ideal non muore».
Alexander Nelson Hood, quinto erede del feudo ducale assegnato dai Borbone in Sicilia all’ammiraglio Nelson, nel suo diario scrisse: «Le ultime due settimane sono state un inferno, un orribile incubo, là dove si è toccato il fondo della miseria. La penna di Euripide avrebbe avuto difficoltà a dipingere tutto ciò. Tutti gli orrori dell’universo: fuoco e acqua, lo sprigionarsi della furia della terra; e tutta la sofferenza che l’umanità può patire: perdita della famiglia, degli amici dei vestiari, dei beni. Tutto ciò si riversò all’improvviso sulla gente, che il giorno prima viveva felice in pace e ben disposta verso gli altri».
Non furono solo le penne a manifestare sgomento e conseguente mobilitazione dell'anima. La crocerossina Constance Hopcraft, moglie del patriota Ricciotti Garibaldi (figlio di Giuseppe), già madre di tredici figli, adottò tre bambine rimaste orfane. Il deputato emiliano Giuseppe Micheli fece costruire le prime baraccopoli. Altri aiuti, dopo i primi soccorsi via mare di Russia e Gran Bretagna, provennero anche dall'estero: il presidente americano, nobel per la Pace, Theodore Roosevelt convocò d’urgenza il Congresso, stanziò 50 mila dollari e inviò 16 navi della flotta americana nelle zone terremotate. Anche il kaiser di Prussia e Germania, Guglielmo II, inviò navi, viveri e sei casette in legno.
«All’Esercito ed all’Armata,
Nella terribile sciagura che ha colpito una vasta plaga della nostra Italia, distruggendo due grandi città e numerosi paesi della Calabria e della Sicilia, una volta di più ho potuto personalmente constatare il nobile slancio dell’esercito e dell’armata, che accomunando i loro sforzi a quelli dei valorosi ufficiali ed equipaggi delle navi estere, compirono opera di sublime pietà strappando dalle rovinanti macerie, anche con atti di vero eroismo, gli infelici sepolti, curando i feriti, ricoverando e provvedendo all’assistenza ai superstiti.
Al recente ricordo del miserando spettacolo, che mi ha profondamente commosso, erompe dall’animo mio e vi perdura vivissimo il sentimento di ammirazione che rivolgo all’esercito ed all’armata. Il mio pensiero riconoscente corre pure spontaneamente agli ammiragli, agli ufficiali ed agli equipaggi delle navi russe, inglesi, germaniche e francesi che, mirabile esempio di solidarietà umana, recarono tanto generoso contributo di mente e di opera», così il re Vittorio Emanuele III, nel gennaio del 1909, ringraziava per l'impegno profuso.
Uno studio di Claudio Staiti del dipartimento di Civiltà Antica e Moderna dell'Università di Messina, pubblicato lo scorso anno, ha approfondito l'impatto della notizia sulla comunità italiana, già numerosa negli Stati Uniti, analizzando il ruolo preminente della stampa: Il terremoto di Messina del 1908 nei giornali italiani di New York.
Secondo tale ricerca, in base al censimento del 1900 gli Italiani residenti tra New York, Philadelfia e Chicago erano 145.433 italiani (il gruppo etnico straniero più consistente dopo quello tedesco e irlandese), con una maggiore incidenza nella Grande Mela. Un dato che sarebbe cresciuto negli anni sucessivi.
Posta questa presenza, fondamentali furono i giornali italiani pubblicati negli Stati Uniti per informare l'opinione pubblica di quanto era avvenuto nello Stretto tra Reggio Calabria e Messina, per mobilitare le coscienze e per attivare forme di sostegno e aiuto.
Stessa funzione fondamentale, a quel tempo, ebbero d'altronde i giornali in Italia. Ancora oggi preziosi poiché ci consentono di ricostruire a distanza di oltre un secolo cosa accadde, ad essi si deve anche la maturazione di una consapevolezza circa la necessità di una normativa antisismica. Dal 1850 al 1930, negli Stati Uniti furono pubblicati oltre mille periodici in lingua italiana, anche se molti con vita molto breve. Ecco quanto riporta Claudio Staiti nella sua ricerca: «L’Eco d’Italia, fondato nel 1849 a New York come settimanale, era stato il primo giornale a essere pubblicato negli Stati Uniti. Seguiva La Voce del Popolo, nato a San Francisco nel 1859 col titolo di Eco della patria. Nel 1880 era uscito a New York il primo quotidiano, Il Progresso Italo-Americano, seguito nel 1883 dal periodico La Colonia italiana. Altri fogli esistevano a Chicago (Il Ficcanaso, L’Italia), a New Orleans, dove nel 1885 era uscito il primo numero de L’Italo Americano, e a Philadelphia, dove nel 1886 era apparso Il Vesuvio. Tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, si erano aggiunte alla lista altre testate, mentre alcune avevano cessato la pubblicazione. A New York, nel 1892, era nato il settimanale letterario satirico La Follia di New York, nel 1893 L’Araldo Italiano, nel 1897 il Bollettino della Sera, nel 1900 i quotidiani Il Telegrafo e Il Movimento e nel 1909 sarebbe sorto Il Giornale Italiano. Come si può notare, questi giornali si richiamavano esplicitamente, già nel titolo, all’Italia, rappresentando, per certi versi, un avamposto politico, culturale e linguistico in terra straniera. Sebbene anche alcuni quotidiani americani, come, ad esempio, il New York Herald, abbiano pubblicato, in occasione del sisma calabro-siculo, intere pagine in italiano e si siano adoperati attivamente per la causa promuovendo raccolte fondi, dobbiamo supporre che la maggior parte degli immigrati (o, meglio, di quella parte di loro parzialmente o totalmente alfabetizzata), verosimilmente, preferì, dato che si trattava di "fatti di casa", leggere cosa dicevano i fogli stampati interamente nella propria lingua e contribuire così alle sottoscrizioni aperte da quei giornali», evidenzia Claudio Staiti.
Quel sisma - che recentemente ha anche ispirato la penna dello scrittore calabrese Mimmo Gangemi, autore del testo teatrale “Terremoto, 37 secondi”, andato in scena al teatro Francesco Cilea di Reggio Calabria, nell'aprile del 2018, e interpretato da Maurizio Marchetti e Maria Serrao - segnò, dunque, uno spartiacque nella storia del nostro Paese e non solo. Da allora crebbe la consapevolezza della necessità di ridurre gli effetti degli eventi sismici. Di quel frangente fu l’introduzione della classificazione sismica del territorio e l’applicazione di specifiche norme per le costruzioni nei territori classificati. Nel 1909, fu emanato, infatti, il primo Regio Decreto contenente norme valide in materia per l’intero territorio nazionale. Il tutto in assenza dell'odierna Protezione Civile, i cui prodromi risalgono al 1925.
Ancora una volta, nella tenebra dello strazio e nella luce della solidarietà, la Storia dell'Italia e della futura Europa si scrisse anche al Sud.
*San Pietroburgo, nel 2012 la dismissione di Aurora
Ammainata dal 2012 la bandiera che sventolò quando fu sparato il primo cannone della Rivoluzione Russa di Ottobre nel 1917 e che ancora prima aveva sventolato quando erano stati portati aiuti alle popolazioni reggina e messinese in riva allo Stretto, dopo il devastante sisma del 1908. Si tratta dell’incrociatore russo Aurora, un tempo punta di diamante della marina russa e nave simbolo di San Pietroburgo che, senza più equipaggio (14 componenti della Marina Militare Russa) e dopo gli scandali e le incursioni di vandali ed oligarchi, è stato dismesso nell’ottobre del 2012 con l’intento di essere tramutato in museo; i lavori di restauro, già all’epoca, si annunciavano complessi. Costruito a fine Ottocento, varato nel Novecento ed entrato in servizio tre anni dopo, lo storico torpediniere russo, il cui nome è dato dalla fregata Aurora coinvolta nella Guerra in Crimea, ha segnato cento anni di storia Russa, tra gli episodi più significativi la guerra Russo-Giapponese di inizio Novecento, le operazioni militari nel Mar Baltico durante la Prima Guerra Mondiale, l’assedio di Leningrado, e anche decenni di storia, fino al 1950, di solidarietà verso luoghi italiani colpiti da tragedie e calamità e tra queste anche lo Stretto tra Reggio Calabria e Messina nel 1908.
** Matilde Serao, Corriere di Roma 19 settembre 1886
« Fresca profonda verde foresta. La luce vi è mite, delicatissima, il cielo pare infinitamente lontano; è deliziosa la freschezza dell'aria; in fondo al burrone canta il torrente; sotto le felci canta il ruscello ...Si ascende sempre, fra il silenzio, fra la boscaglia fitta, per un'ampia via ...Tacciono le voci umane ... Non v'è che questa foresta, immensa, sconfinata: solo quest'alta vegetazione esiste. Siamo lontani per centinaia di miglia dall'abitato: forse il mondo è morto dietro di noi. Ma ad un tratto, tra la taciturnà serena di questa boscaglia, un che di bianco traspare tra le altezze dei faggi.
Questa è Ferdinandea ».
***Giovanni Pascoli, da “Pensieri e discorsi”(1914)
«Questo mare è pieno di voci e questo cielo è pieno di visioni. Ululano ancora le Nereidi obliate in questo mare, e in questo cielo spesso ondeggiano pensili le città morte. Questo è un luogo sacro, dove le onde greche vengono a cercare le latine; e qui si fondono formando nella serenità del mattino un immenso bagno di purissimi metalli scintillanti nel liquefarsi, e qui si adagiano rendendo, tra i vapori della sera, imagine di grandi porpore cangianti di tutte le sfumature delle conchiglie. È un luogo sacro questo. Tra Scilla e Messina, in fondo al mare, sotto il cobalto azzurrissimo, sotto i metalli scintillanti dell’aurora, sotto le porpore iridescenti dell’occaso, è appiattata, dicono, la morte; non quella, per dir così, che coglie dalle piante umane ora il fiore ora il frutto, lasciando i rami liberi di fiorire ancora e di fruttare; ma quella che secca le piante stesse; non quella che pota, ma quella che sradica; non quella che lascia dietro sé lacrime, ma quella cui segue l’oblio. Tale potenza nascosta donde s’irradia la rovina e lo stritolio, ha annullato qui tanta storia, tanta bellezza, tanta grandezza. Ma ne è rimasta come l’orma nel cielo, come l’eco nel mare. Qui dove è quasi distrutta la storia, resta la poesia».
**** "Per la Calabria", l’appello che assunse le vesti di un giornale speciale
Un momento di ricostruzione della memoria corale come quell’appello di solidarietà universale la cui genesi, in quel gennaio del 1906, fu marcatamente femminile. Esso è stato ricordato in occasione dei 100 dalla sua pubblicazione con una ristampa curata da Città del Sole edizioni, proprio nel 2006, intitolata "Le donne e la memoria. Un contributo unico di solidarietà femminile", realizzata con il sostegno dell’Ufficio della Consigliera di Parità dell'allora Provincia di Reggio Calabria retto da Daniela De Blasio. Il ritrovamento presso la Biblioteca comunale di Reggio Calabria, ad opera della professoressa Gaetanina Sicari Ruffo, di questa edizione straordinaria, è ancora da considerarsi come il manifesto del movimento femminile di inizio secolo che aveva già centrato la necessità, ancora oggi tale, di riconoscere alle donne capacità anche imprenditoriali.