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I libri ci vengono incontro con una sorta di volontà seduttiva, i loro titoli mirano a colpire la nostra immaginazione, lanciano lusinghe a cui cediamo volentieri. Così avviene con il titolo Compitare nei cortili che René Corona ha scelto per il suo esordio poetico in lingua italiana, un’opera che va ad arricchire una vastissima produzione letteraria in francese, che spazia dalla saggistica alla narrativa, dalla poesia alla traduzione (il nostro, nato a Parigi, vive sulla costa calabrese ed è docente di Lingua e Traduzione Francese presso l’Università di Messina). La prima fascinazione è nel verbo compitare, a partire dalla definizione data dai dizionari: «leggere lentamente, distinguendo e pronunciando separatamente i varî suoni di cui sono formate le parole o dividendo le sillabe». Già da qui si delineano i contorni di una poetica, si deduce quale elemento fondante l’inclinazione alla cura della parola letteraria, alla dizione paziente e scevra delle frenesie del quotidiano. Che il compitare abbia luogo nei cortili non fa che rafforzare il richiamo a un passo d’altri tempi, inesorabilmente perduti e per ciò stesso di continuo evocati, l’infanzia dei cortili di scuola, spazi del gioco e della fantasia senza assilli. La poesia eponima, non a caso posta quasi in chiusura al libro, riassume tale cifra: «altri giorni / compitare nei cortili / con l’odore di pioggia / caduta da poco / che porta via verso il velo del fiume viola / tutte le lettere sentimentali / i giochi improvvisati / gli ultimi voli» (compitare nei cortili). Titolo e versi imprimono dunque la loro direzione, raccontano la malinconia come tono prevalente, temperamento del poeta pervasivo della sua scrittura in ogni evenienza. Tuttavia la tonalità malinconica si trova sovente stemperata, o per converso acuita, da uno sguardo ironico lampeggiante tra i versi con guizzo imprevisto. La mescolanza in mirabile equilibrio di queste due componenti conferisce al discorso poetico un andamento dinamico, un alternarsi non solo di atmosfere e sfumature espressive, ma anche di accento e ritmo, ora pacato e a tratti sommesso, ora serrato e incalzante, persino travolgente.

La complessità di Compitare nei cortili si mostra nella sua stessa architettura, uno stratificarsi di sezioni e sottosezioni, dove temi e motivi si agglutinano e si intersecano componendo una partitura nel contempo geometrica e fantasmagorica. I versi compresi nel libro coprono un vasto arco temporale, dal 1985 al 2017, con una coerenza di stile che ammette diversità solo in connessione alla varianza dei motivi ispiratori. Un altro carattere precipuo della scrittura di Corona è l’accoglienza generosa degli autori amati, sia attraverso le citazioni in epigrafe (più di una ventina i poeti e scrittori riportati, da Ripellino a Campana, da Baudelaire a Desnos, da Coetzee a Roth), sia all’interno dei testi, fitti di riferimenti espliciti o dissimulati alla letteratura otto-novecentesca, con una naturale predilezione per i poeti italiani e francesi frequentati a lungo come traduttore. Su tutti Gozzano e Bufalino, laddove un’intera sequenza è dedicata al già citato Baudelaire, fino nel titolo Baudelairestrasse.

Se la struttura del libro è variamente articolata, altrettanto rigoglioso sarà lo spirito poetico di Corona, ben riconoscibile in alcuni temi e termini ricorrenti, che consentono un accesso diretto al suo immaginario, al suo substrato emotivo. A cominciare dalla prima parte del libro intitolata Da un’isola all’altra. La condizione di viaggiatore tra le due sponde dello stretto di Messina non è che il correlativo di uno stato psichico che fa assurgere l’isola a simbolo di un’esistenza solitaria e ondivaga: «da un’isola all’altra / ritroverai le stesse scimmie / le stesse malinconie / la stessa acqua» (sogno). Tra isole alla deriva e venti di scirocco, «il mare […] manda / messaggi / senza bottiglia» e le onde hanno «il ritmo di un tango / malinconico» (seduzioni); aleggia un sottofondo di disincanto quando «superato lo stretto rimane l’incertezza dell’isola» (scirocco ottobrino). Il poeta è già invischiato nel miele del tempo perduto, personificato nella proustiana figura di una «Maddalena impregnata di sapori che furono» (madeleines).

Nel corpo centrale del libro, costituito dalla sezione Vite barocche, scandita a sua volta in sei momenti, mutano in parte luoghi e geografie ma non i paesaggi interiori. I mari e le isole fanno ancora da sfondo a vicende amorose tormentate e donne chimeriche, tuttavia se incombono dolori e delusioni, per una sorta di compensazione il linguaggio si fa più ironico e giocoso: «piovevano cuori e dispiaceri / nella stanza dei nostri umori / volevo comperarti azalee / per profumare le tue cattive idee» (cuori e dispiaceri). È un crescendo di inventiva, una fiumana di visioni e fantasie, una commistione continua di vocaboli comuni o bizzarri, calembours e neologismi. Il poeta, non c’è dubbio, si diverte (come un redivivo Palazzeschi). Ma il gioco non è frivolo, al contrario, è tutto un ribollire di letture che premono alle porte della mente, una intera letteratura muove l’intelletto, impone la sua presenza inestimabile, irrinunciabile. L’esistenza del poeta si riconosce solo tra sogni e parole, corre sul filo della memoria e della dimenticanza, «fragili versi / come festuca che l’onda dei giorni / travolge / e spinge via verso il vuoto // o / nemico anemico / obliami» (vite barocche).

In questi snodi della raccolta emergono due topoi cruciali del pensiero poetico di Corona, l’acqua e il tempo, strettamente legati a figurare la mobilità della condizione umana e universale, la transitorietà dell’esistente. Pensiamo alle parole di Iosif Brodskij dedicate a Venezia nel suo Fondamenta degli Incurabili, per il quale l’acqua «è totalmente sinonimo del tempo» e «il pensiero stesso ha la trama dell’acqua». Ora l’elemento acquatico va a mutare forma, quasi inavvertitamente da marino diventa piovano, sin dal titolo della serie Strade piovane con riflessi, fino all’ultima sezione Piogge, che racchiude Acquerugiola domenicale e Pozzanghere autunnali. Perché se c’è una stagione adatta a richiamare la malinconia e la fuggevolezza del tempo, questa non può che essere l’autunno con le sue trame crepuscolari: «non riflettere troppo sotto la pioggia / confonditi con essa / potrai lasciare così le giuste tracce / del tuo passaggio» (tracce). Dopo il clamore estivo subentra una sorta di sollievo, un abbandono languido ai ritmi lenti e al silenzio delle giornate autunnali, tanto più consone al temperamento umbratile e nostalgico del poeta: «irretito dalla nostalgia / messere estate voi non siete che un villano» (solstizio).

Un’evidenza particolare merita la serie dei Poemetti in prosa cavaliera e/o giardiniera à la manière de. Con la consueta verve ironico-malinconica i testi qui compresi introducono una variante stilistica, l’accostamento di versi e prosa, spogli anche in questo caso di punteggiatura, come a scongiurare qualsiasi ostacolo al flusso dei pensieri. Un connubio originale, dagli effetti in estrema misura lirici e surreali, di cui si rende felice esempio tra i tanti il finale di balconi: «Intanto le ore sgualcivano i vetri della clessidra i giorni si staccavano effimeri dai calendari i mesi e gli anni affilavano la loro malvagia depravazione e inesorabilmente ogni cosa tornava al suo posto di sempre Tranne il tempo / Un certo Magritte si incaricò delle bare».

L’impianto formale dei poemetti preannuncia il nucleo di testi concepiti a chiudere il libro, un fulminante Autoritratto dell’autore in quattro tempi, tra prosa e versi, che sembra condensare in sé i punti cardine della poesia di Corona. Quasi una summa poetica dove la levità del gioco letterario e l’agro disincanto del vivere concordano a suggerire una via di fuga, un senso ancora possibile, che riconcili l’arte e la vita, «frugare nelle pattumiere dell’esistenza / per trarne essenza di rosa / grattarsi via tutte le rogne del quotidiano / e mentre il sole tramonta sul mare / allontanarsi per cercare / un’ultima volta una carezza / una parola / un gesto gentile» (Autoritratto dell’autore da cucciolo mezzo cane e mezzo uomo, quasi una scimmia nel corridoio convesso in fondo, II).