di Natale Pace
Nelle biografie ufficiali del palmese Antonio Altomonte la sua produzione letteraria comincia nel 1961, quando, fresco laureato in giurisprudenza a Messina, dove si era appassionato alle lezioni di letteratura di Giacomo De Benedetti, si trasferisce a Roma per “fare il giornalista”. Dopo tre anni da alle stampe il primo romanzo, Il Feudo. Leonida Repaci in Calabria Grande e Amara definirà Altomonte: «emblematico ricostruttore di perdute dimensioni» e a Repaci lo legò una amicizia piena di filiale gratitudine, perché fu proprio l’autore dei Rupe a instradarlo a Roma nelle stanze del giornalismo, fino a diventare, grazie a lui, responsabile della terza pagina del “Tempo” romano. Su Repaci Altomonte pubblicherà nel 1976 un bel saggio per la collana I Castori della Nuova Italia. Nel 1967 Repaci, Presidente della Giuria del Premio Tarquinia Cardarelli conferisce ad Altomonte il premio per il giornalismo e nel 1978, sempre Repaci Presidente gli assegna il Premio Viareggio per il romanzo “Dopo il Presidente” e nel 1983 lo inserisce nella giuria del Viareggio. Non è un caso che sia stato proprio Antonio Altomonte a tenere a Palmi nel luglio 1985 l’elogio funebre alle esequie del suo vecchio amico Leonida.
Ma ad Antonio Altomonte la passione per il giornalismo lo aveva preso molti anni prima di quel 1961 e pochi sanno che egli fondò, diresse e pubblicò un giornale a Palmi con la storica tipografia Zappone dal titolo “Il Punto” dei sei pagine. Era il 1956 ed egli, appena ventiduenne riunì intorno alla testata nomi altisonanti della cultura palmese: un Domenico Zappone già conosciuto in campo nazionale, Domenico Antonio Cardone che proprio nel 1956 aveva ottenuto la candidatura per l’assegnazione del Premio Nobel Per la Pace, l’altro filosofo Nino Fondacaro, la poetessa Maria De Maria Oggi le copie di quel giornale sono rare e preziose. Io ne possiedo di quel giornale quattro numeri con rari scritti di Altomonte e degli altri.
Nel numero di dicembre 1956 Altomonte inserisce il racconto giovanile (che non conoscevo e non so quanti conoscono) Piccola Storia Segreta, dedicandolo all’avvocato palmese Vincenzo Silipigni.
Pietro è un emigrato calabrese in America dove stenta a trovare gli spazi di una vita nuova, con l’unica preoccupazione di fare i dollari da spedire alla famiglia in Calabria. Ha il portafogli pieno zeppo di santini che i parenti calabresi gli mandano nelle lettere transoceaniche per proteggerlo ed assisterlo ed egli spesso si ritrova a tirarne fuori qualcuno e baciarlo. C’è anche la foto nel portafoglio della fidanzata che ha lasciato al paese, dal viso tirato perché le donne calabresi a quel tempo davanti alla macchina fotografica s’innervosivano. Ma non è la fidanzata il personaggio femminile del racconto di Altomonte. Pietro prende fitto in una pensione di proprietà di una donna americana ma con antenati italiani. Tutto il racconto si snoda nella introspezione di Pietro che si sente attratto e non capisce perché, come può, con la ragazza che lo aspetta in Italia, avere sentimenti verso Helen che lo ospita in pensione. Immagina che sia soltanto bisogno di sessualità, la sua e quella di Helen che ha perduto il marito da non molto e gli confessa che si stanca molto a recarsi al cimitero una, due volte al mese.
Ha appena ventidue anni Altomonte ma già è bravo nell’analisi emozionale dei sentimenti non apertamente espressi da Pietro e Helen, una lunga, quasi esasperante disamina di ciò che essi provano e che piano piano assume la parvenza dell’ormai certo legame che prima o poi si svelerà apertamente. La descrive Altomonte con maestria, la stessa che apprezzeremo nei suoi futuri romanzi, specialmente Dopo il Presidente.
Si ritrovano a passeggiare da soli, nei parchi per la prima volta e: “Prendendone coscienza, egli si trovava con lei accanto come con una parte della sua anima che avesse assunto una forma, un nome, Helen. Helen e Pietro. Due solitudini. Forse avrebbe baciato la donna se avesse pensato ch’era anche una materia di carne.”
E’ un piccolo gioiello letterario questo che ho trovato tra le mie vecchie carte, scoprendo Antonio Altomonte quando ancora non era Altomonte, ma un giovane universitario che, in quei tempi, seguiva con passione Giacomo De Benedetti e se ne innamorava al punto da diventare, per questo, scrittore e giornalista, tra i più fecondi del novecento, troppo precocemente scomparso quando, forse, era giunto il tempo della raccolta e della notorietà
PICCOLA STORIA SEGRETA
di Antonio Altomonte
All’avv. Vincenzo Silipigni
Egli toccava ormai i quarant’anni, ma occupato a guadagnare i denari che gli avrebbero resa facile la vita nella terra dalla quale veniva, non si era reso conto dell’inganno tesogli dal tempo.
Qualche volta, adesso, aveva l’impressione di sentirsi stanco, ma non della stanchezza che gli procurava il lavoro – quella la conosceva bene. Frugava nel portafoglio tra le immagini di taumaturghi paesani, che gli erano arrivate nelle lettere d’oltreoceano, baciava i santi, che capivano il dialetto dei padri, e quindi si domandava se avesse compreso lo stesso la parlata di lui, Pietro, col nuovo accento che le metteranno i lunghi anni d’America. Poi, toglieva il ritratto della fidanzata lontana e vi si fissava a lungo sull’espressione rigida, appena vivificata da una punta di paurosa diffidenza, che assumevano le paesane della sua terra davanti ad un obiettivo.
Col tempo, gli capitava a volte, fissava quello, uno strano fenomeno: come un lento svuotarsi di se stesso, un senso crescente di meschinità nei confronti della donna; quasi per una colpa ignota di cui avrebbe fatto volentieri a meno. E fu allora che prese conoscenza di ciò che gli stava succedendo con un’altra, Helen. Conosceva poco di questa, ma quanto bastava; teneva pensione dopo la morte del marito e parlava italiano, ch’era la lingua della sua famiglia d’origine. Per il resto, egli sapeva che l’atteggiamento di lei, nei suoi riguardi, non poteva dirsi certamente normale. Non bastava questo?
Cominciò a dominarlo a proposito di Helen un incipiente interesse, anche se non avrebbe potuto dire quali corde dell’intimo ne fossero pizzicate. E che escludeva “a priori” una corrispondenza affettiva secondo l’attrazione che la donna provava per lui.
Piuttosto, passando a classificare quell’atteggiamento di lei, quasi non aveva dubbi che esso nascesse da sessualità, dall’esigenza di una risposta alla voce dei sensi, all’amore fuori di ogni stadio platonico, lè dove un uomo si considera per quello ch’è, per quanto vale a letto. E tutto questo appariva chiaro a lui, quando agendo in virtù di quell’iniziale interesse si accostava ad Helen, per riceversene come una sorta di commossa gratitudine, espressa in un’insolita lucentezza degli occhi.
“Avete ricevuto una lettera, oggi” lei diceva “Buone notizie?”
“Le solite”
Oppure:
“Cos’avete stasera? Non mmi sembrate contento.”
“Forse che siete stanco. Si, sarà questo… stanca il lavoro.”
Discorsi di questo genere venivano fatti tra ampie pause di silenzio. Quanto a lui, Pietro, ad un certo punto gli fu chiara, in quegli accostamenti, una sottilissima agitazione c h’era nel timbro della voce, che gli meccanizzava i movimenti e dava a tutto l’essere quell’impaccio che n’è il logico risultato e, di solito, l’abito della timidezza. Stranamente, l’uomo si sentiva allora sgravato dei suoi anni, adolescente quasi. In lui, anzi, l’una e l’altra – l’agitazione che era un prodotto del turbamento dei sensi e la timidezza che naturalmente esprimeva il volto di quella fittizia adolescenza – si fondevano in un rapporto di reciprocità ch’era, alla fine il motivo penosamente dolce e dolcemente penoso della sua attrazione ad Helen.
Lei st essa finì per accorgersi di questo. Era il modo con cui l’uomo la guardava a tradirlo. Un modo strano, tenace, che, si sarebbe detto, pesasse sulle membra della donna. Un odo che a lei sembrava di avere riscontrato, qualche volta, in un qualcuno morente: quando, il corpo entrando in agonia, gli occhi ne riflettono il progressivo ottundimento dei sensi, nell’espressione tanto vicina a quella tipica di un cane percosso.
“Cosa c’è? Mi guardate… “
E lui: “Siete stanca anche voi. O m’inganno? ...”
“Si vede che sono stanca? Oggi sono stata al cimitero. E’ un dovere faticoso”
“Vostro marito? …”
“Si, da mio marito.”
“Ci andate spesso?”
“Una o due volte al mese. Ci andrei di più, ma stanca. Me lo leggete anche voi che sono stanca.”
Si accanivano sulla loro stanchezza. Eppure, intimamente, ognuno sapeva che non era il lato fisico di quella stanchezza a farli parlare: e allora, chissà perchè, preferiva starsene passivo, con la passività della mente quando ha perduto – magari costringendola – la capacità di formulare un pensiero concreto, ma inconsciamente contento di non pensare e, ancora di più, della selvaggia irrequietezza che avvertiva covare in fondo all’anima.
Quando Pietro v”Stupido!” Egli rispose, convinto. E poi:olle fermarsi a riflettere, vide chiaramente cosa s’era stabilito tra sé e l’altra: un afflato di sentimenti spontanei e d’istintive esigenze in uno strano, dolciastro sapore come quello della pietà. Ma non era che un primo stadio del sentimento; e quando si passò ad uno ulteriore, c’era già qualcosa di sottilmente fascinoso ad agitare l’uomo. Come una malattia che sussista in assoluta indipendenza dalla nostra volontà e, nondimeno, determinante di questo o o quell’atteggiamento, se non di tutto un certo modo di esistere.
Ciò conferiva a volte a Pietro la prospettiva di una doppia personalità, lo richiamava ad un giorno che aveva fissato gli occhi nello specchio di uno stagno, fermandoli qualche istante sul vago riflesso del volto, fino a sentirselo estraneo, come quello di una cariatide a sostegno della massa liquida.
Allora una parte della sua vita gli era parso si era trasferita in quel riflesso, e lui si era visto – quasi vuoto di anima e di pensieri -fermo sulla riva a contemplare il suo doppione… Così ora, Non poteva il Pietro della fidanzata lontana, ad alimentare certi nuovi appetiti. Non lo poteva essere!... Ma intanto il volto assumeva il carattere di un’angosciosa trasognatezza e, a guardarlo, si sarebbe detto che l’ipocondria vi avesse preso un aspetto fisico, le fattezze di una carcne che si stirava esile sulle ossa, marcando le sporgenze degli zigomi.
C’era allora avvisaglia d’estate nell’aria. Era magnifico. Invogliava a camminare, a respirare a pieni polmoni, a saltare, a ruzzolarsi per terra. I parchi s’affollavano. Egli disse:
“Quattro passi dopo cena non turberanno il vostro ordine. Venite.”
“Il mio ordine?” ridacchiò nervosa.
“Si vi trovo molto ordinata. E’ un modello questa vostra pensione: E …” indugiò un attimo.
“E?”
“E non soltanto la pensione, anche voi. Avete tutto al giusto posto.”
Ella lo guardò fissamente, con intuito tutto femminino.
“Mi riferisco ai vostri sentimenti” soggiunse Pietro in un tono più basso.
Uscirono. Gli fu spontaneo prenderla a braccetto ed entrare in un cinema. Solo che in fondo, se ne pentì. Sentiva il fiato caldo, lussurioso, della sala buia brulicante di centinaia di presenze, e si trovava lontano – pur essendo gomito a gomito – della sua compagna. Se ne chiese il perché e chiedendoselo non ebbe più il coraggio, all’uscita di attaccarsi al braccio della donna.
“Che avete’ Siete cambiato d’umore.”
“Il film, sarà stato il film”
“Come lo avete trovato? Ella aggiunse per dire qualcosa.
“Stupido!” Egli rispose, convinto. E poi:
“Anche voi?”
“Anch’io.”
Andavano lentamente nell’ombra. Il cielo sfolgorava d’azzurro. Qualche stella spiava alle finestre degli ultimi piani dei grattacieli. Egli disse:
“Penso che dovremmo avere gli stessi gusti noi.”
“Perché?” Helen abbozzò un sorriso
“Non era un buon film. E’ stato facile trovarsi d’accordo.”
“Non è per questo.”
“Allora?”
“Non so. Forse perché venite in una strada solitaria come questa. Un’altra, probabilmente, avrebbe preferito l’ubriacatura della Quinta Avenue.”
“Sarà… Ma da qui si fa più presto ai parchi.”
“Come sapete che ci stiamo andando?”
“Non lo sapevo. Ma ne sentivo il bisogno. Ve l’avrei chiesto io.”
C’era molta ombra nei viali, e si respirava odore di terra. Erano soli, o almeno a non voler squarciare quella ombra si aveva l’impressione di esserlo: Prendendone coscienza, egli si trovava con lei accanto come con una parte della sua anima che avesse assunto una forma, un nome, Helen. Helen e Pietro. Due solitudini. Forse avrebbe baciato la donna se avesse pensato ch’era anche una materia di carne.
“Bella” disse lei allora, d’un tratto.
“Cosa?”
“Questa passeggiata. Era da tempo che ne avevo persa l’abitudine.”
Non siete stanca?”
“Non sono stata al cimitero.” Feceuna breve pausa, prima di aggiungere:
“E’ da un mese, ormai”
L’uomo la fissò in tralice nell’ombra e si accorse degli occhi di lei che folgoravano.
“Come mai?”
“Stanca troppo, lo sapete”
“Lo so”, egli disse “E so anche che state diventando disordinata.”
Sorrisero entrambi, evitando di guardarsi, pudichi.
Si presero sottobraccio, in silenzio.