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Pietro Citati, alcuni anni fa, scrisse un notevole articolo per ricordare le Conversazioni di un grande poeta: il Premio Nobel per la letteratura Josif Brodskij, che nel 1992 vinse anche il Premio Città dello Stretto del Circolo culturale Rhegium Julii. Quest'ultimo importante riconoscimento, uno dei primi ottenuto in Italia, gli fu consegnato dal grande giornalista Demetrio Volcic in una memorabile serata organizzata dal circolo reggino inella splendida cornice del Teatro Francesco Cilea gremito in ogni ordine di posti.

A venticinque anni da quell'evento il Presidente del Circolo Pino Bova ha voluto ricordare la figura e l'opera del grande poeta e saggista evidenziando come lo stesso ha amato a tal punto il nostro Paese da chiedere di essere sepolto nella città emblema della bellezza più autentica: quella Venezia alla quale ha dedicato uno dei suoi libri più belli: Fondamenta degli incurabili.

A vent'anni Brodskij, vissuto da sempre a Leningrado, si lasciava travolgere dalla sua passione per la creatività e conosceva già tutto della letteratura russa. Scriveva, ma non era iscritto all'unione scrittori russi, pertanto, venne considerato un vagabondo ed arrestato come "parassita sociale". Mandato a lavorare i campi ai confini del circolo polare, lesse molto Shakespeare e i poeti inglesi Yeats, Elliot e soprattutto Auden, da cui rimase particolarmente impressionato. Preferiva leggere gli scritti di questi poeti direttamente nella lingua madre, così imparò da autodidatta la lingua inglese.

A trentadue anni fu espulso dalla Russia e si rifugiò a New York. La sua esperienza americana fu travolgente: scriveva  sempre le poesie in lingua cirillica, ma la prosa era tutta in lingua inglese. Considerara la poesia come una strumento essenziale per purificare la lingua, come un'acceleratore della mente e, al contrario della prosa, vedeva i suoi versi chiusi in un baccello, pronti ad esplodere con tutta la loro forza.

Credeva nella metrica che usava con costanza, non per ragioni di musicalità ma perchè ne avvertiva un vero flusso spirituale, un supporto essenziale. Ciò spiega  le ragioni per cui le sue letture avevano un ritmo paragonabile a quello delle nenie ortodosse.

La sua grandezza traspare in maniera straordinaria anche nelle sue riflessioni ed analisi critiche dei grandi poeti e scrittori sui quali ha indugiato: dalla Achmatova, alla Cetaeva, ma anche Kavafis, Frost, Dante, Montale e i poeti latini da Virgilio, ad Ovidio, Lucrezio.

I suoi libri di Poesia e di saggistica come il Canto del pendolo, Fuga da Bisanzio ed altri sono un vero e proprio capolavoro.

Reggio ed il Circolo Rhegium Julii  che lo hanno ospitato per tre giorni non poteva non ricordarlo, non poteva dimenticare sue parole: l'amore è superiore, anch'esso è più grande di chi ama.

Pino Bova