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di Natale Pace

“U maluparraturi”, (il pettegolo), così amava bonariamente definirlo Nanù Isola Zappone, vedova di Domenico, quei pomeriggi che si chiacchierava di cultura e arte davanti ai suoi celebri caffè fumanti. Con me e con lei venivano spesso Benito Trimboli, tra gli ultimi grandi esponenti della scuola filosofica cardoniana, Lina Natalìa Tegano, pittrice di arabescati intrecci di olio e fili di seta, la grande poetessa Gilda Trisolini sempre con figlio al seguito e il marito il pittore Esposito, e altri.

Nino Zucco (S. Eufemia D’Aspr. 1910 – Roma 1987) giornalista, saggista, scultore, pittore, poeta, narratore, ha insegnato nei Licei Artistici Statali (anche al “Mattia Preti” di Reggio Calabria). Come pittore ha partecipato alle più importanti rassegne nazionali e internazionali. Sue opere si trovano in collezioni private e pubbliche. Una stupenda Via Crucis adorna la chiesa di San Sperato a Reggio Calabria e altri bassorilievi in bronzo sono al cimitero di Francavilla Marittima.

Zucco è rimasto giustamente famoso nel mondo dell’arte per i suoi dipinti, i bassorilievi e le sculture, ma non meno meritevoli di attenzioni critiche, a mio parere, sono i suoi scritti, sia quelli descrittivi dei rapporti di amicizia intrattenuti con importanti artisti, sia quelli narranti. Qualcuno ha giustamente scritto che Zucco narrava dipingendo e dipingeva narrando.

Nel 1956 ha Pubblicato “Fuoco a Djambra”, finalista al Premio Villa San Giovanni, con prefazione di Arrigo Benedetti:

“… egli raggiunge, attraverso una felice creazione di caratteri, un’efficacia descrittiva che fa dei suoi racconti un tipico e genuino esempio di narrativa moderna.”

di Anna Foti

La Pace e la Speranza, riposta nella Gioia dell'infanzia e della gioventù, la natura partecipe con i suoi frutti, i suoi colori, i suoi odori e i suoi suoni del lavoro di preparazione del Presepe. Un'atmosfera laboriosa che celebra il paesaggio della Calabria che, nonostante i malfattori non rinuncino a rubare neppure la notte di Natale, si illumina per avvolgere la sua brava gente, quella che lavora e che crede nella luce della stella che "splende sulla notte", in quelle dolci creature che fluttuano, facendo sulle ali viaggiare pensieri, sogni e speranze.

Corrado Alvaro (San Luca 1895 - Roma 1956) giornalista e scrittore, con questa pagina tratta da "Gente in Aspromonte" (premio La Stampa nel 1931), la sua celebre raccolta di tredici racconti pubblicata nel 1930 e che assume il nome del primo lungo, ci fa dono di una pagina di letteratura rappresentativa del nuovo realismo del Novecento.

Spontanea ed essenziale, dedicata al Natale e allo spirito di condivisione che esso ispira e rinnova, essa è una miniatura preziosa che tutti custodiamo in un posto a noi caro per contemplarla nei momenti di sconforto o per sublimare un momento di gioia e tenerezza. Una descrizione pregna di realismo che valorizza l'universalità di un'immagine nobile e agreste, capace di rappresentare la natura nella sua maestosa laboriosità e di rivelare il profondo senso di questa Festività. Una dimensione visionaria che rafforza la rarità dei paesaggi dell'Aspromonte, definito dallo scrittore di Africo, Gioacchino Criaco, unico e ancora vivido avamposto magico dell'Occidente.

 “Natale è la festa più bella di tutte perché con la nascita del Signore l'innocenza tornò sul mondo. Da allora questa è la festa della speranza e della pace. Tutto sembra fatto per la gioia dei ragazzi che sono la speranza del mondo.

Nei paesi s'è lavorato tutta una settimana per fare il Presepe. Nel fondo si attendono rami di aranci carichi di frutta. Si lanciano ponti coperti di muschio da un punto all'altro, si costruiscono montagne, strade ripide, steccati per le mandre, e laghetti.

Di Natale Pace

IL GIORNO DEL GRANO

Oggi è il giorno del grano
e non stupitevi
se io, riposti i libri,
vengo a impugnare la falce con voi.
Oggi è il giorno del grano
e con voi voglio sudare
e ubriacarmi di papaveri.
Forza, compagni, cantiamo!
E voi donne lasciateci cantare
strambotti per l’amata
e serviteci gli orcioli di vino
già sotterrati per tenerli freschi.

di Natale Pace

Io e Nanù scartabellavamo ogni pomeriggio tra le carte del marito Domenico Zappone, quei pomeriggi che precedettero il 13 aprile del 1980. L’allora assessore alla cultura del Comune di Palmi, il povero Raffaele Fotia, aveva accolto con entusiasmo la mia proposta di organizzare un evento per ricordare il grande scrittore e giornalista nella sala consiliare dove alla presenza di personalità e artisti provenienti da ogni parte, tra cui Albertina e Leonida Repaci, Antonio Altomonte, Gilda Trisolini e Giuseppe Selvaggi ricordarono degnamente l’autore de “Le cinque fiale”, il corrispondente di tante testate regionali e nazionali, il dissacrante Mimì Zappone. Rosina Isola Zappone (Nanù per lui perché, diceva, Rosina è nome di cameriera, non si addice!!!) seguì da vicino i preparativi di quella bella giornata, consigliandomi, mettendo a mia disposizione materiale e documenti preziosi, lieta che la Città volesse ricordare il suo famoso marito, morto suicida poco più di tre anni prima. Capitandoci tra le mani un libricino, lo rigirava pensosa:

“Mimmo diceva che il suo amico Franco Alfano più che un bravo pittore, fosse un bravissimo poeta e giornalista. Quando nel 1970 stampò con Rebellato questo volume “Dovrò lasciarti la mano” gliene mandò copia con dedica: “A Domenico Zappone, i pensieri in poesia dell’ultimo sibarita. Con stima e affetto. Franco Alfano. Castrovillari 29/8/1970”

Il riferimento a l’ultimo sibarita non era casuale; Alfano certamente ricordava una visita di Zappone in quei luoghi per un bellissimo pezzo pubblicato su Il Giornale d’Italia il 17 gennaio 1961 col titolo “A cena con gli ultimi sibariti”